Van Dyke, ovvero un tono bruno per una tecnica di stampa
Come ci sono arrivato:
Leggo un fotoit, un numero della rivista mensile Fiaf, e trovo un articolo sul gruppo Namias, gruppo composto da appassionati di antiche tecniche di stampa.
Cerco il sito e tra i soci trovo Alessandro, di Genova..
Ci studio, ci sono alcune foto, non tante, ma promettenti.
E se fosse disponibile a venire ad illustrare la sua tecnica una sera?
Mail, risposta: si!
Bene, è stato venerdì 15, lo vediamo arrivare con un bel sacco di stampe e qualche pubblicazione, pronto a spiegarci.
Non eravamo tanti, ma tutti interessati.
Un po’ di considerazioni preliminari le ho dovute imporre da grillo parlante del 36, per il ruolo che mi tocca svolgere
In poco più di trent’anni la fotografia è cambiata; era stampa in camera oscura, con rullini da 36 scatti, con studio di ogni foto per avere una stampa decente che fosse almeno 18×24
Poi venne diapositiva, e poi ancora le prime stampe digitali da quadricromia, quindi le prime foto con compatte digitali da 2mb, ed ora siamo a milioni di pixel per ogni foto, che quando si esce come minimo se ne scattano 500, che fai una fatica boia a vederle tutte, e poi ne scegli 50 (spesso non buone) e se va bene le vedi sul cellulare (5x9cm?) e se va meglio le porti al circolo
Tutto all’insegna del tanto, troppo, e subito.
Quante stampe facciamo? Poche poche
Se l’elettricità scomparisse, se il cloud crollasse, se le memorie fossero azzerate da qualche virus ecco che ogni foto porrebbe scomparire, salvo le stampe.
Poi non dimentichiamo i tempi di gestione e di digestione di tali quantità.
Quindi il mio noiosissimo apologo per sostenere la tesi che lento e poco, è meglio, e se su stampa ancora meglio, e che se meditato, sarebbe perfetto.
Liberi di pensare contrario a quanto esposto, ci mancherebbe.
Ma questo venerdì Alessandro Carta, fotografo che stampa anche con tecnica van dyke, ci ha introdotto ad una modalità di stampa che richiede mediamente ore di impegno per una singola foto, quindi quella foto si sceglie bene, si analizza, si aggiusta, ti fa compagnia per un sacco di tempo, e se ti rimane simpatica diventa stampa.
Tu quando stampi, sei quella foto, le tonalità sono la tua voce, i neri si addensano come pensieri profondi, in cui cerchi di scorgere il tuo nascosto, la luce la vuoi modulata, che non urli, che non invada troppo.
E le linee, che siano obbedienti alle tue regole interne.
La carta è come una pelle, liscia, lucida? Forse satinata, consistente, ma sempre piana, senza rughe ed increspature, e con intorno un vestito di cornice, o di passepartout, che la faccia risaltare, da appendere o da appoggiare ad un piano di tavolo, pulito, sgombro, magari con altre foto che insieme fanno un’opera.
Capite la differenza con quel piccolo schermo colorato, strafottente, con immagini che vivono decimi di secondo, che si alternano senza mai darti soddisfazione, come bere da un bicchiere solo poche gocce, che ti lasciano solo un piccolo vuoto…
Alessandro ci ha dato del tempo, tempo per ogni immagine, chi la prendeva in mano, la contemplava per diversi minuti, dettagli, sfumature, scoperta di nuove tonalità
Esiste altro, oltre questo palcoscenico colorato dove danzano pixel che si ricompongono in visioni a volte prevedibili, altro, che parla una lingua antica, che ti riporta a toccare, pesare l’immagine, dove le composizioni hanno corpo, la materia diventa sensazione e pensiero….

Credo saremmo tutti affascinati dal vedere la realizzazione di una stampa passo passo
Chissà…
Grazie per questa piccola magia, grazie Alessandro!