L’ospite che ci è venuto a trovare ha portato non soltanto delle foto, ma delle idee, un suo modo di operare, e il suo stile.

Da subito si è capito che per lui la fotografia non è semplice passatempo, ma un impegno preciso, non tanto per l’informazione, il grande reportage, ma per un approfondimento umano, una dimensione che molti di noi conoscono.

Ma lui ha espresso una particolare passione, ed è per questo luogo forse più lontano idealisticamente che geograficamente, l’Iran; ed è amato da lui in ogni forma di espressione, come civiltà e cultura, ne ama la filmografia, i suoi scrittori, i suoi fotografi, ne conosce la storia.

E non poteva far altro che raggiungere l’Iran con un viaggio a taglio più etico, per cui il lavoro che abbiamo visto è il frutto di 2 settimane passate a girare luoghi non sempre esclusivamente turistici ma a valenza anche umana.

Come lui stesso ci ha detto, non era solo ma in un gruppo guidato con scadenze e tappe che in qualche maniera lo hanno obbligato a seguire tempi stretti di marcia con i limiti di libertà che ne conseguono.

E tra i 2000 scatti che ha fatto, ha selezionato le foto sul tema per lui più caro che è quello della libertà della donna.

In Iran vige un regime che controlla la popolazione necessariamente da vicino, in molte manifestazioni, compreso l’abbigliamento, e di fatto l’obbligo di velo per le donne a partire dai 9 anni determina simbolicamente una forte imposizione sull’immagine del paese.

Come ogni regime che si rispetti, anche quello dell’Iran ha i suoi oppositori, e per darsi voce usano proprio la contestazione sui simboli adottati dal regime, e tra questi uno dei più forti è proprio il velo.

Da qui Stefano inizia, proponendo le immagini della principale oppositrice, Masih Alinejad, con i sui capelli al vento e la sua bellezza persiana per introdurci nelle città iraniane che ha visitato cogliendo la modernità in contrasto con l’usanza imposta, peraltro parzialmente aggirata da donne che vogliono esprimersi nella loro dimensione.

Una quarantina di foto proposte in bianco nero per evidenziare il nero del velo, tutte street e sempre con la figura umana al centro dell’attenzione, con immagini sia rubate, sia chieste quando il dialogo è diventato comunicazione.

Alcune immagini sicuramente balzavano agli occhi per l’intensità del messaggio, altre erano buoni spunti ma se posso esprimermi, soffrivano della velocità di scatto imposta a Stefano dal viaggio organizzato, ma il messaggio è stato colto forte e chiaro.

Quindi la seconda proposta è stata su un’altra bella serie di foto scattate in Senegal, sempre monocromatiche, e anche in questo caso aver scelto come organizzatore del viaggio una Onlus impegnata sul territorio ha favorito Stefano nel trovare un ambiente reale e non turistico, quindi abbiamo apprezzato immagini ancora più raffinate in taglio e composizione a supporto in ogni caso di un reportage sulla condizione della popolazione.

Ringraziamo Stefano di averci proposto le sue foto di taglio impegnato, un confronto interessante che ci ha portato a conoscere e ragionare su realtà di cui si parla nei media ma che non sempre sentiamo vicine; aver conosciuto chi ama ed esplora queste situazioni ci ha ricordato la bellezza dell’impegno.