Ci sono serate che si ricordano, altre che passano senza lasciare quasi traccia, se non per il piacere di aver incontrato  gli amici (che comunque non è poco).

Quella di ieri appartiene al primo gruppo.

Poiché il dominus della serata è stato Stefano, non poteva certo essere lui a commentarsi. Mi sono quindi assunto io l’onere di farlo. E lo faccio molto volentieri.

Luzzara (provincia di Reggio Emilia).

Non è un luogo glamour. Tanto meno in passato. Non è né bello né brutto, non è famoso per qualche eccidio né è ricordato per qualche battaglia contro gli austriaci.  Non ha neppure la fama della vicina Brescello (nota per romanzi di Guareschi su Peppone e Don Camillo). E’ un paese come tanti, adagiato nella bassa padana, umido e nebbioso d’inverno; caldo, polveroso e assolato d’estate. Massacrato dalle zanzare assatanate di sangue, che prosperano sulla riva del Po.

E allora?

E allora capita che nel 1902 vi sia nato Cesare Zavattini, scrittore, giornalista, ma soprattutto sceneggiatore del neorealismo italiano e collaboratore dei grandi registi di quella stagione, da Rossellini a Antonioni, da Visconti a De Sica, con cui realizzò i tre capolavori: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951).

Capita anche che nel 1955 Zavattini chiede a Paul Strand (uno dei giganti della fotografia di sempre, padre delle Straight Photography) di raccontare la  vita quotidiana di un paese con il linguaggio della fotografia: il suo paese, Luzzara. Ne nasce un libro divenuto un caposaldo, un pezzo di storia della fotografia e dell’editoria fotografica.

Ma non finisce qui.

Vent’anni dopo, sarà la volta di Gianni Berengo Gardin a cimentarsi con lo stesso tema (da cui un altro libro, Un paese vent’anno dopo).

Infine, altri vent’anni dopo (quindi a metà dei ’90 del ‘900), è la volta di un altro celebrato maestro, Stephen Shore che a sua volta realizzerà il suo racconto di quel luogo (e anche qui ne nasce un libro).

Fin qui non ho fatto che riassumere ciò che Stefano ha premesso (a beneficio degli assenti ed a ricordo dei presenti).

Ma veniamo al lavoro del Nostro.

Decide di partire dalla fine. Una scelta inconsueta, ma a mio avviso azzeccata.

Si parte da Shore, quindi. Stefano fa scorrere lentamente le immagini del libro (previamente fotografate e montate) accompagnate da un ottimo commento musicale.

Perplessità in sala. Shore non è un autore facile. Non “arriva” subito e non indulge in nulla che non sia strettamente legato alla sua ricerca sul territorio. Che tra l’altro non è il “suo territorio”. E forse non è anche il suo linguaggio preferito. Shore solitamente lavora a colori, ne è uno dei massimi esponenti. Nessuno grida di gioia né si strappa i vestiti. Anzi arriva qualche sommesso commento (più o meno sul tema: “Confesso la mia ignoranza ma non le capisco”). Nessun problema, ci sta. Ci sta tutto. L’importante è sforzarsi di capire, leggendo qualche cosa di lui del suo lavoro attingendo semplicemente alla rete.

Si passa al nostro socio onorario (che per chi non lo sapesse è GBG), a cui il Nostro qualche anno fa ha conferito personalmente la prestigiosa onorificenza.

Si comincia a ragionare. Eccome se si ragiona! Il lavoro di GBG è ben comprensibile a tutti. C’è tutto quel che ci deve essere: i personaggi del paese, i ritratti ambientati, le visioni d’insieme, i dettagli, il Po, il lavoro nei campi. Tutto impeccabile, con inquadrature ben composte, nel suo bianco e nero. Per giunta l’editing del libro è perfetto. Magari non ti tocca il cuore ma è un gran bel lavoro.

Però…

Però arriva Paul Strand.

Ora si capisce il racconto a ritroso!

Il linguaggio di Strand è emozionale, pur non utilizzando nessun espediente formale. Le immagini sono tutte a fuoco, pulite e ordinate. Anche quelle di GNB lo sono. Ma queste…

Non saprei dire il perché ma tutti abbiamo sentito che c’era qualcosa che passava  dagli occhi al cuore senza fermarsi nella mente.

Finito?

Manco per niente. Dulcis in fundo, Stefano ci ha fatto il grande regalo di abbinare le immagini di Strand ai testi del libro, letti (anzi recitati) da una brillante Stefania. Testi di per sé toccanti, nei quali si sente vivo il ricordo della guerra (anche di quella civile) da poco conclusa, con la sua coda di lutti e di dolori. Bellissima idea, ottimamente realizzata!

E qui davvero concludo. Ringrazio a nome di tutti Stefano (e Stefania) per il lavoro fatto, che ha richiesto ore e ore di preparazione (tra studio e realizzazione). Una serata che ci ha lasciati più ricchi di quando siamo entrati.

Chi non sapeva cosa fosse Luzzara adesso lo sa, chi non conosceva Strand e Shore ora sa qualcosa. Chi è stato stimolato  ha materia per approfondire.