Spesso anche nella fotografia – come in molte altre attività – conviene fermarsi un attimo, guardarsi intorno ed indietro per avere una visione più chiara di quello che c’è avanti a noi, di quello che potremmo fare, di come sia opportuno correggere la nostra rotta e ripensare il nostro agire per ottenere risultati più soddisfacenti. La serata di venerdì scorso 15 maggio ha avuto questo significato e questa utilità.

Ogni tanto ci concediamo la visione di un autore, e da lì procediamo, analizzando con calma e passione quello che la visione ci evoca.

Venerdì è stato il turno di Stuart Franklin, autore e giornalista della Magnum.
http://www.stuartfranklin.com/
http://www.magnumphotos.com/

Un giornalista colto e pacato, che ha affrontato temi in contrapposizione tra loro , dall’opera dell’uomo alle costruzioni della natura, alle distruzioni della guerra e della fame alla serenità un po’ inquieta dei paesaggi da lui riscoperti nel mondo .

La realtà è composta da piccoli gesti quotidiani che non solo un semplice contorno all’azione, ma ne costituiscono supporto…. un insieme di situazioni che è opportuno documentare per cogliere l’essenza della realta’ che si vuole trasmettere .

Un’altra fondamentale idea che abbiamo tratto dall’autore è la necessità di progettare: conoscere il soggetto del reportage, apprendere abitudini, cultura e luoghi che sono teatro delle azioni. E non solo : è anche opportuno cercare di costruire a priori, per quanto possibile, una rete di contatti a cui ricorrere una volta che si è in loco. Non solo è un risparmio di tempo, è spesso “conditio sine qua non” della realizzazione del servizio. Non dobbiamo mai dimenticare che – a differenza della nostra attività (in genere) – i “professionisti” DEVONO tornare a casa con il risultato (concretamente le FOTO) che a loro era stato “ordinato” di ottenere: questa è la differenza vera tra “professionista” ed “amatore” : anche noi abbiamo spesso idee concrete da realizzare, ma loro … ci devono vivere!

Tutto questo appare scontato, ma quanto è fattibile in pratica, nella nostra realtà?
Su tutto questo abbiamo sviluppato una discussione che si è protratta a lungo … Siamo in grado di affrontare una qualunque situazione fotografica che ci si presenta con la necessaria progettualità? farla diventare “un PROGETTO”? riusciamo a mettere in ordine le idee, prefigurarci quali aspetti vogliamo evidenziare per poi ottenere proprio “QUELLA FOTO” che rappresenta il nostro punto di vista, la nostra interpretazione? riusciamo a contattare le persone giuste (e nel modo corretto) affinchè si riesca a rendere possibile il “progetto”? Quanto incide l’”opportunità” (cioè la disponibilità di tempo e mezzi) sulle possibilità realizzative?

Sembra materia complessa, lontana, ma non è proprio così: tra di noi erano presenti soci che hanno potuto riferirci la loro esperienza diretta svolta proprio secondo questi criteri, dimostrandoci che tutto questo è assolutamente concreto e realizzabile, anzi, è garanzia di riuscita per lavori che si sono mostrati notevoli e soddisfacenti. Solo per citare tre nomi: Tomma,,Emilio e Fabrizio. Quindi non solo possiamo farlo, abbiamo tra noi chi può indicare come farlo!

Poi, per arricchire ulteriormente la serata, abbiamo virato di bordo, estraendo dall’archivio foto in assoluta contrapposizione con il garbato e classico modo di fotografare di Franklin. Foto tratte da diversi fotografi di VII Photo Agency (http://viiphoto.com/) , dove la tragicità della guerra e dell’umanità ci vengono sbattute in faccia senza mezzi termini…. foto crude, esplicite, ma spesso racchiuse in un quadrato “tipo Instagram” , con tanto di cornicette, vignettatura, tinte desaturate ed inquadrature “alla moda”.
Subito la domanda che stimola la discussione: è lecito, è opportuno oppure è sgradevole aggiungere elementi leziosi in una fotografia di guerra dove la sofferenza si può toccare, non solo vedere? Rende irriverente il messaggio oppure lo rafforza per contrapposizione?

Inoltre … presentando fotografie di festicciole mafiose o dell’ addestramento della femminile guardia del corpo di Hillary Clinton … ci siamo chiesti : è sempre condizione necessaria che un “buon reportage” sia identificato da immagini di morte, fame o malattia? oppure ci si puo’ distaccare da questi stereotipi, da questi colpi bassi, per valutare positivamente la riuscita di un racconto fotografico?

Il tempo è volato e ci siamo trovati a mezzanotte quasi senza accorgercene … ma Emilio aveva una sorpresa per noi: uno slideshow fresco fresco, secondo lui ancora acerbo , ma già ben godibile. E’ una realizzazione tipicamente “sua”, tra astrattismo puro e significato preciso. Un gioco di (S)forme estremamente sfuocate su sfondo neutro che danno vita ad un racconto non banale da decodificare, con la colonna sonora che è parte integrante dell’opera. Aspettiamo un’ulteriore rifinitura – così preferisce Emilio – il suo genio e sregolatezza già appare evidente …

E così la lunga serata è terminata: partendo da foto dure e reali scattate in situazioni e luoghi remoti siamo arrivati ad un’opera tutta nostra, astratta e sognante. Così sono le serate al 36°: nessun preconcetto, nessuna preclusione, solo fotografia.