Conoscevamo già le sue immagini, senza saperlo: mi ricordo negli anni ’90 quando nelle riviste di fotografia c’era la pubblicità Kodak della diapositiva Ektachrome, con un sub che spunta dal fondo con un bel crostaceo come trofeo, incorniciato dal telaietto bianco, un’idea semplice ma con un piccolo dettaglio, l’acqua che esce dal boccaglio, quel quid che fa di una foto LA FOTO.

E come dimenticare il bimbo appeso come un vestito alle corde da stendibiancheria?

Semplicemente geniale (per vederla basta andare sul suo sito in prima pagina).

Certo il layout è creato in genere dall’agenzia che organizza la comunicazione pubblicitaria, ma il fotografo interpreta.

E dopo una sera passata con Joe capisci perchè lui ha sempre lavorato e continua a lavorare ovunque si trovi, che sia nel continente americano o nella vecchia europa, perchè ha quella mescola di mediterraneo calabrese e Grande Mela fusi in un unico modo di parlare che ti conquista subito.

Simpatia? non solo, come sempre, e come ormai tutti noi sappiamo, la fotografia è comunicazione, è cultura, e Joe ha grandi fotografi tra i suoi modelli, e i grandi intellettuali del surrealismo del primo ‘900, che rielaborato dalla sua sensibilità , diventa la sua modalità di comunicare, di sorprendere, di lanciare l’osservatore su un piano di lettura inconsueto.

Quasi come una favola, Joe, presentato da Maurizio (che ringraziamo come sempre per il supporto multiplo), amico di lunga data, ci ha raccontato la storia della sua vita, da quando la fotografia era il suo modo di ricordare, fotografando i suoi amici, legami durati una vita, con la tenerezza di mostrarci una foto di gruppo fatta i primi anni ’70 e rifatta pari pari oltre 40 anni dopo… potevano, i suoi amici negargli l’ineffabile piacere di rimettersi davanti all’obiettivo come quando erano giovani adulti?

Ma Joe è così, il ritratto è il suo modo di conoscere, scoprendo chi ha davanti, con parole, battute, e rivelando poi il volto vero.

E poi la scelta se fare il reporter o altro: con coraggio ed onestà ci ha raccontato della sua esperienza di scatto durante il terremoto del Friuli del ’76, quando realizzò il servizio ma quasi nei tempi morti in cui non aiutava la popolazione, decidendo che non poteva non farsi coinvolgere.

Scelse dunque la foto commerciale, facendola a suo modo, con grande professionalità ma con il gusto di creare. Lui è fotografo, sempre in ogni momento della sua vita, quindi ha costantemente mantenuto uno spazio per la sua ricerca personale, già dai tempi della grande manifestazione “Venezia fotografia” del 79 quando presentò il suo portfolio di nudi deformati ispirati dall’opera del grande Bill Brandt, che gli valsero una permanenza a Venezia per tre mesi di fotografia h24 come espositore.

Ma non posso farvi il resoconto della ricca serata di parole e immagini, concludo con il libro che lui e Maurizio che ha fatto l’editing, ci hanno presentato: Buskers, ovvero 25 anni di ritratti ad artisti di strada, ma non per strada, in studio, magari all’aperto, ma con il controllo di luci e sfondo, per estrarre e distillare la vitalità di tanti personaggi conosciuti nel festival di Ferrara, riprodotti con qualcosa di speciale, il supporto Polaroid, grande 50x60cm, una vera gigantografia istantanea, uno dei miti di sempre della tecnologia creativa, nelle mani di quell’esploratore di Joe che rende una fotocamera grossa come un mobile, leggera, per le acrobazie dei suoi personaggi.

Personalmente ho avuto un grande piacere a conoscere Joe Oppedisano, e a conoscere la sua vita, la sua produzione, il suo background culturale, e mi sembra come tutti i presenti di venerdì sera; e ci ha offerto una visione della fotografia creativa che ho trovato grandemente stimolante, perchè a differenza del reportage, nella creatività metti in primis te stesso.

Per fortuna Joe al 36° il 6 aprile del 2018.